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Dimmi che motore di ricerca hai, e ti dirò cosa vedrai

Le ricerche che si possono fare in Rete danno gli stessi risultati? No, dipende quale motore usi e in quale Paese abiti. Diversi stati con un basso grado di democrazia si sono infatti concentrati a creare propri motori di ricerca, per controllare le informazioni che possono essere sgradite al governo. Così se in Cina cercate foto dei fatti di Piazza Tienanmen del 1989, o notizie estere in Corea del Nord, vi ritroverete con una censura preventiva di cosa potete cercare e cosa no.  Per milioni di persone certi fatti non sono semplicemente esistiti. 

Questo scenario orwelliano è descritto bene dai numeri descritti sul sito Statcounter. Dai dati emersi nel periodo aprile 2019 – aprile 2020, il motore di ricerca russo Yandex, lanciato nel 1997, mantiene una percentuale di di query di poco inferiore al 50% del totale. Il gigante americano, nei paesi russofoni, soffre una bassa aderenza alla grammatica locale e la bassa cultura digitale degli abitanti in questione. La censura non è sistematica, ma il peso del Cremlino è evidente nella gestione del motore di ricerca.

Va peggio in Cina.

Qui domina Baidu con un monopolio quasi assoluto (65,35% del totale utenti), solo il 5% ai motori occidentali. Il resto del market share è diviso da altri motori cinesi secondari. Il colosso asiatico possiede il numero più alto di utenti su Internet (904 milioni). Si può allora comprendere bene come questi numeri debbano far riflettere. Anche perché la Repubblica popolare cinese ha creato un vero e proprio muro alle notizie estere con la scusa della difesa della sicurezza informatica (NE ABBIAMO PARLATO QUI). 

Entrato in funzione definitivamente dal 2006, il “Golden Shield Project” è gestito dal Ministero di pubblica sicurezza di Pechino e “armonizza” (stando alle parole dei promotori) ciò che non è considerato conforme al pensiero da tenere. Il sistema è molto accurato perché agisce sugli indirizzi Ip, sulla scansione dell’URL in cerca di parole chiave e utilizza certificati SSL falsi, per controllare conversazioni in cui l’intruso non si rende conto di essere osservato. I bersagli? Gli individui che sembrano interessati o capaci di organizzare azione collettive, indipendentemente dalle finalità. Ma anche personaggi dei cartoni come Winnie the Pooh, accostato dai blogger al leader cinese Xi Jinping.