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Social e linguaggio, come cambia la comunicazione

Ogni generazione ha avuto il suo linguaggio di riferimento. Ne era il tratto distintivo, la diversificazione da quello che era. Per creare, idealmente, il proprio spazio conoscitivo e di gruppo. Per dirla semplice, un ragazzo negli anni ‘60 definiva gli anziani ‘matusa’, un adolescente negli anni ‘80 definiva ‘fare il Rambo’ chiunque non sapeva gestirsi, un adolescente negli anni ‘90 chiedeva di ‘non infartare’ alle notizie molto importanti. 

È l’inesorabile cambiamento dei tempi, che coinvolge anche la nostra epoca. Ed è strettamente connessa al mondo digitale. È il caso della generazione dei giovanissimi, nati tra il 1995 e il 2010, la Generazione Z. Questi sono divisi da un abisso comunicativo e di abitudini con i cosiddetti Baby Boomers, nati tra il 1946 e il 1964. E se questi ultimi si sono aperti all’uso di alcuni social network, principalmente Facebook, i primi preferiscono trovare spazi comunicativi e di socialità specifici per la propria età, principalmente Tik Tok o Youtube. 

Dopotutto gli adolescenti hanno affermato che per il 76,5% non spengono il cellulare neanche di notte e che per l’80% di aver utilizzato i social, nell’anno della pandemia, “più che in passato” e tra questi il 45% ha precisato “molto più che in passato”, come analizzato da Laboratorio Adolescenza, consultabile QUI.

Ma gli effetti della pandemia sulle giovani menti è ancora da definire e gli effetti si vedranno nel lungo periodo, come avevamo accennato QUI. 

La lingua cambia in continuazione con il cambiamento dei costumi. Chi pensa che rimanga immutabile nei secoli è molto lontano da una visione realistica della realtà: è come dire che la società è rimasta identica a due secoli fa! Così i giovanissimi creano nuovo linguaggio trovando spunti dagli ambiti preferiti, come la musica, il web, dai videogiochi e dal mondo anglosassone in generale.

Impossibile farne un elenco preciso: tra qualche mese potrebbe essere già desueto. Ma nel flusso creativo a cui assistono i linguisti, emergono dei termini ricorrenti e quindi probabilmente destinati a sopravvivere nel futuro. Ne sono esempi: 

  • ‘cringe’, termine inglese usato per indicare il provare vergogna, ma più in generale una vergogna che incuriosisce;
  • ‘triggerare’, anglicismo legato all’idea di far arrabbiare qualcuno attirando la sua attenzione su degli elementi specifici;
  • ‘blastare’, anglicismo che significa battere duramente in una discussione, zittire con una frase secca che mette a tacere l’interlocutore;
  • ‘leone da tastiera’, utente della Rete coraggioso solo per la sicurezza di essere protetto da quello che afferma, protetto dalla distanza con l’interlocutore.

In generale, potreste anche trovarvi ‘in topic’ o ‘off topic’ in una discussione, in base all’aderenza o meno all’argomento. Guai a esagerare con un’accusa, potreste diventare ‘hater’, per finire ‘bannati’ dal dialogo. Quello sì che sarebbe un vero ‘epic fail’. Ma più probabilmente non sarete in grado di comprendere quello che vuole affermare e sarebbe liquidati con un generico ‘Ok, boomer’.